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Non mi fanno mangiare abbastanza: che faccio?

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Badante convivente: “Sono capitata in una famiglia che non mi dà da mangiare”

Quante volte ci siamo trovati di fronte ad una badante che si fa e ci fa questa domanda: “non mi danno da mangiare, che faccio?”

Certo, magari si tratta di un’esagerazione, di uno stato d’animo piuttosto che della foto di una cruda realtà (speriamo davvero che nessuno lasci a digiuno una persona che sta lavorando per lei!). Però il problema esiste ed è uno dei casi più frequente di attrito tra le famiglie e le badanti. Che fare dunque? Proviamo a fare chiarezza.
Evidentemente ci troviamo di fronte ad una domanda posta da una badante convivente in una situazione per la quale è lo stesso contratto di lavoro che fa chiarezza. Vediamo nel dettaglio.

 

Cosa dice il contratto badanti?

Art. 35 Vitto e alloggio

  1. Il vitto dovuto al lavoratore deve assicurargli un’alimentazione sana e sufficiente; l’ambiente di lavoro non deve essere nocivo all’integrità fisica e morale dello stesso.

Non ci sono dubbi dunque. Anche contrattualmente è chiaramente indicato che l’alimentazione deve essere sana e sufficiente.
Ma sufficiente a cosa?
Basta porsi questa semplice domanda per scoprire che, al di là delle pattuizioni contrattuali sulle quali, ovviamente, non si può né transigere né derogare, è il buon senso che deve guidare i nostri comportamenti.

 

Basta il buon senso.

Dicevamo, basta porsi la semplice domanda: “ma il vitto deve essere sufficiente a cosa?” per evitare di creare inutili attriti nella normale gestione della convivenza.

Le badanti hanno un compito fondamentale, che cambia, in meglio, la qualità della nostra vita e quella dei nostri genitori: prendersi cura tutti i giorni dei nostri cari.
È dunque innanzitutto nel nostro interesse che devono essere messe nelle migliori condizioni per fare il loro duro lavoro. Tre pasti al giorno, di buona qualità.
Questo, ad esempio, recita il nostro contratto tra gli obblighi della famiglia. Il buon senso ci suggerisce che una persona di, ad esempio, quarant’anni, che ha bisogno di essere energica tutto il giorno, non può avere lo stesso regime alimentare del nostro papà o della nostra mamma che di anni ne hanno magari ottanta e che non fanno più una vita attiva né affaticante da tanto tanto tempo.

Se a mamma basta una minestrina, forse alla nostra badante serve una bistecca: o no?
Basta il buon senso…

 

Caviale e champagne

Siamo dunque obbligati a soddisfare ogni richiesta, anche la più assurda, che ci arriva dalle badanti?
Ovviamente no (ricordate? Il buon senso…).

Un’alimentazione sana e sufficiente non è fatta di capricci e stravaganze. Per le famiglie il vitto è un costo, previsto dal contratto e propedeutico alla buona riuscita dell’assistenza ma non può e non deve diventare un salasso mensile solo perché ci si è imbattuti in una collaboratrice dai gusti stravaganti.

Ricordiamoci che uno dei compiti della badante è anche, sempre con riferimento al Contratto, quello di svolgere “[…] se richieste, le attività connesse alle esigenze del vitto e della pulizia della casa ove vivono gli assistiti “.

Quindi la badante ha il compito di “fare la spesa” per la famiglia nel rispetto delle abitudini familiari e del budget che gli viene assegnato.
Il controfiletto di fassona e il culatello di Zibello sono capolavori del buon mangiare italiano; se la badante ha piacere di gustarli spesso e volentieri, nulla osta ma comperandoli con i suoi soldi, non devono dunque insistere sul budget della famiglia (sempre che, ovviamente, la famiglia non abbia piacere di condividerli con lei e/o possa o voglia offrirglieli spesso).

Tre pasti al giorno, di buona qualità, non caviale e champagne.

 

Ma che pretende? Al massimo le spettano meno 4 euro al giorno.

Molte famiglie confondono l’indennità di vitto e alloggio col budget a disposizione della badante per fare la spesa alimentare per il suo sostentamento. Nulla di più sbagliato.

L’indennità di vitto va pagata solo quando la badante non può usufruire gratuitamente dei pasti come ad esempio quando è in ferie, in permesso etc. (se non alloggia, c’è anche quell’indennità da corrispondere, ovviamente).

Pertanto, nei casi di cui abbiamo scritto prima, è stata contrattualmente prevista una cifra convenzionale in sostituzione dei pasti che la badante solitamente consuma durante le normali giornate lavorative.

È evidente dunque che l’indennità in denaro non è l’unico criterio per stabilire qualità e quantità dei pasti ma si deve tenere in considerazione la salute del soggetto e la qualità e la quantità del vitto. Torniamo ad insistere sul buon senso perché è l’unico parametro infallibile in questi casi.

 

Il miglior modo per gestire le controversie.

Un suggerimento che può apparire banale è questo: stabilite sempre prima con chiarezza tutte le pattuizioni che governeranno il rapporto e verificatele nel tempo.

In linea di massima, uno dei vantaggi maggiori che si ottiene affidandosi ad un terzo che gestisce l’assistenza è proprio questo: evitare che nascano attriti su cose fondamentalmente banali come queste. Le incomprensioni, i non detto finiscono inevitabilmente, o prima o poi, per riversarsi sul buon andamento dell’assistenza.

La nostra Cooperativa ad esempio, non solo ha formalizzato questo obbligo delle famiglie, esplicitandolo con chiarezza sul contratto ma controlla e anche con frequenza che non ci siano problemi con l’alimentazione della badante. Allo stesso modo, se la famiglia dovesse accorgersi che le spese per il vitto travalicano il ragionevole, è sempre la Cooperativa a intervenire.

Prevenire ogni attrito, evitare che nascano… È sempre il miglior modo per gestire le controversie.

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